Periartrite
L’espressione “periartrite scapolo-omerale” letteralmente indica un processo infiammatorio che colpisce i tessuti che circondano l’articolazione della spalla. È un termine troppo generico, perché abbraccia una serie di patologie che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra e che è stato nel tempo sostituito da altri termini più specifici che indicano patologie ben precise (tendinite, calcificazione peritendinea o tendinite calcifica, borsite, attrito sub-acromiale). Tuttavia questo termine, anche se in modo inappropriato, è ancora usato.
Sindrome da attrito subacromiale (o conflitto sub-acromiale, o impingmentsubacromiale)
Caratteristiche – E’ dovuta ad un eccessivo attrito tra la cuffia dei rotatori e il margine anteriore e laterale dell’acromion nei movimenti di flessione e abduzione del braccio. La causa dell’attrito è una forma dell’acromion curvilinea o ad uncino, associata o meno ad un abnorme spessore del margine anteriore dell’osso. Un ruolo importante può avere, quando è ispessito, il legamento coraco-acromiale (teso tra la coracoide e la faccia profonda dell’acromion), che partecipa alla costituzione del cosiddetto arco coraco-acromiale, sotto cui scivola, nei movimenti, la testa omerale. Un’ulteriore causa può essere un’ artrosi acromio-clavicolare in presenza di marcato ispessimento dei capi articolari. Oltre alla ristrettezza dello spazio coraco-acromiale, un abnorme attrito tra l’acromion e la cuffia dei rotatori può essere causato da un’artrosi dell’articolazione acromio-clavicolare responsabile di un ispessimento dei capi articolari. Il quadro anatomopatologico è caratterizzato inizialmente da una reazione infiammatoria cronica della borsa sottoacromiale, che si ispessisce e diviene fibrotica. In fase più avanzata vi può essere un’infiammazione cronica dei tendini della cuffia, soprattutto del sopraspinoso o un’usura della loro superficie.
Trattamento – Inizialmente si usano anti-infiammatori e fisioterapia antalgica. Se questi non sono efficaci, possono essere utili 1-2 infiltrazioni di un cortisonico a lento assorbimento nello spazio sottoacromiale. Quando la sintomatologia persiste o è recidivante, vi è indicazione ad effettuare un’ acromioplastica, consistente nell’ampliare lo spazio sub-acromiale attraverso la rimozione della porzione inferiore del bordo anteriore e laterale dell’acromion. L’intervento viene fatto di norma in artroscopia.
Rottura della cuffia dei rotatori
Caratteristiche – E’ la più frequente di tutte le rotture tendinee. La lesione si riscontra di solito in pazienti in età superiore a 50 anni. Le cause più frequenti sono: 1) un attrito acromio-omerale. Con il tempo, un continuo attrito tra la cuffia dei rotatori e l’arco coraco-acromiale porta prima ad una rottura dello strato superficiale della cuffia (rottura parziale) e poi ad una rottura completa (rottura a tutto spessore). 2) riduzione della resistenza meccanica del tendine per fenomeni degenerativi del tessuto tendineo. Ciò può spiegare perché le rotture si verificano di solito in età media e senile. 3) traumi nella regione della spalla, che possono causare la rottura o, più spesso, ampliarla e renderla sintomatica. La rottura può interessare uno o più tendini ed essere di varia ampiezza e forma. Inoltre, si può trattare di una disinserzione del tendine dalla superficie ossea o, più raramente, di una rottura nel contesto del tendine. Il tendine più spesso interessato è quello del sopraspinoso. Seguono le lesioni associate del sopraspinoso e del sottospinoso e le lesioni del sottoscapolare. Relativamente rare sono le rotture di tutti i tendini della cuffia. Le rotture a tutto spessore si distinguono in piccole, ampie e massive. Le rotture piccole sono quelle che non superano 1,5 cm nel diametro maggiore; quelle massive superano 5 cm. Le lesioni massive interessano di solito il sopraspinoso e sottospinoso. La forma della rottura, in particolare nelle disinserzioni dalla superficie ossea, può essere semilunare, ad U, a L o massiva a margini estremamente retratti. Le rotture nel contesto del tendine sono rotondeggianti. Le rotture massive si distinguono in riparabili e irreparabili. Queste ultime sono quelle talmente ampie ma soprattutto i cui margini sono retratti che i tendini non possono essere reinseriti alla superficie ossea.
Sintomatologia e diagnosi – In alcuni casi, la rottura è asintomatica, anche se ampia. Di norma, tuttavia, essa causa dolore nella regione della spalla, soprattutto nei movimenti di elevazione o abduzione del braccio oltre che negli sforzi di questo. Molto spesso il dolore è anche o soprattutto notturno. La forza del braccio può essere normale o ridotta. In quest’ultimo caso i due estremi sono: difficoltà a sollevare completamente il braccio al di sopra della testa; o impossibilità a sollevarlo anche di pochi gradi. Le radiografie, con proiezioni particolari, consentono di valutare l’ampiezza dello spazio acromio-omerale, la cui ristrettezza può confermare un attrito acromio-omerale, in alcuni casi facendo sospettare una rottura della cuffia e in altri casi, quando la testa è molto risalita, dandone la una certezza. Comunque, la RM è l’indagine che dimostra la presenza, oltre che la sede, le dimensioni e spesso le caratteristiche anatomiche della rottura.
Trattamento – Le piccole rotture asintomatiche non necessitano di trattamenti. I pazienti con modesto e saltuario dolore senza deficit di forza possono essere trattati con anti-infiammatori e fisioterapia nei periodi di dolore. In quelli con dolore frequente o continuo è indicato un trattamento chirurgico, soprattutto se coesiste un deficit di forza. L’indicazione è assoluta nelle rotture massive anche se poco sintomatiche, poiché con il tempo la rottura può divenire irreparabile. Le rotture riparabili possono essere trattate in artroscopia o a cielo aperto. L’artroscopia oggi è il trattamento d’elezione. In artroscopia, si trazionano i margini tendinei fino a portarli alla normale inserzione ossea (trochite o trochine), dove vengono fissati mediante ancore munite di fili, infisse nell’osso. Le rotture irreparabili sono trattate con la trasposizione di un’unità muscolo-tendinee regionali (generalmente il grande dorsale) al posto dei tendini della cuffia. Nei soggetti molto anziani può essere invece applicata una protesi “inversa” della spalla.
Instabilità della spalla
Caratteristiche – Il termine di “instabilità” della spalla è usato, in senso lato, per indicare due condizioni patologiche 1) la lussazione recidivante traumatica e 2) le instabilità atraumatiche da lassità capsulo- legamentosa. Spesso. peraltro, lo si usa solo per indicare queste ultime. Una condizione a parte è la lussazione primaria traumatica, ossia la prima lussazione, poiché la dislocazione può non ripetersi e lasciare quindi la spalla “stabile”.
Lussazione primaria – Si verifica di solito per un trauma violento alla spalla. Di solito è anteriore, ossia la testa dell’omero fuoriesce dalla sua sede anteriormente (sotto la clavicola). Il paziente ha intenso dolore e incapacità a muovere l’arto. E’ necessario ridurre la lussazione rapidamente, di solito in anestesia generale e immobilizzare la spalla per circa 3 settimane. La complicazione più temibile è una lesione del nervo ascellare, che comporta una paralisi del muscolo deltoide. Quasi sempre si verifica un distacco del cercine glenoideo dal bordo della glenoide (cosiddetta lesione di Bankart) che predispone a successive lussazioni. Inoltre, si può verificare una frattura da “impatto” della testa dell’omero (lesione di Hill-Sachs) per l’urto di essa contro il bordo anteriore della cavità glenoide al momento della fuoriuscita della testa dalla sua sede. Questa lesione, peraltro, si può verificare anche in occasioni di successive lussazioni. Il trattamento consiste nel ridurre la lussazione (rimettere al suo posto la testa omerale) rapidamente, di solito in anestesia generale e immobilizzare la spalla per circa 3 settimane. In alcuni soggetti, specialmente se sportivi agonisti e di età molto giovanile, esposti facilmente a rilussazioni, può essere indicato effettuare un’artroscopia e riparare le lesioni anatomiche già alla prima lussazione. Raramente la lussazione è posteriore. Questa può essere non riconosciuta alla visita medica molto più spesso della lussazione anteriore. Il trattamento consiste sempre nella riduzione e immobilizzazione della spalla.
Lussazione recidivante – Dopo una prima lussazione traumatica, il paziente riprende di norma la completa funzione della spalla. Successivamente può non avere alcuna lussazione o, dopo un periodo di completo benessere, può andare incontro ad una nuova lussazione per un trauma violento quanto quello della prima lussazione od anche minore. La probabilità di recidive è tanto più elevata quanto più giovane è il paziente al momento della prima lussazione. Gli adolescenti si rilussano, una o più volte, nella quasi totalità dei casi. Dopo i 40 anni, la frequenza si riduce a circa il 30%. La causa delle rilussazioni è la lesione del cercine glenoideo (lesione di Bankart) e/o dei legamenti capsulari, che hanno perso la capacità di stabilizzare la testa omerale nella cavità glenoidea o una lesione del cercine glenoideo associata ad una frattura del bordo anteriore della glenoide (lesione di Bankart ossea). Una lussazione recidivante si verifica quasi esclusivamente per le forme anteriori.
Trattamento: nei pazienti che hanno avuto 2 lussazioni non viene attuato di solito alcun trattamento chirurgico. In quelli che ne hanno avute 3 o più, vi può essere un’indicazione chirurgica, soprattutto se le lussazioni sono ravvicinate nel tempo o il paziente è in età giovanile e/o effettua attività sportive a rischio per la spalla. Sono stati ideati numerosi tipi di interventi. I due più in uso sono: la rifissazione in artroscopia del cercine glenoideo distaccato alla glenoide; o la trasposizione sul collo della glenoide dell’apice dell’apofisi coracoide con i muscoli ad essa inseriti a cielo in aperto (ossia con un’incisione cutanea ampia) o in artroscopia (intervento di Latarjet o Bristow-Latarjet). La rifissazione in artroscopia del cercine glenoideo viene effettuata mediante “ancore” infisse sul bordo della cavità glenoide. Con il secondo tipo di intervento, l’apice della coracoide viene fissato alla scapola con 1-2 viti, realizzando una sorta di ostacolo osseo-muscolare alla lussazione della testa omerale. La spalla viene poi immobilizzata per 2-6 settimane, secondo la tecnica usata. Una recidiva della lussazione, dopo l’intervento, si verifica nel 5%-10% dei casi in dipendenza della tecnica usata e dell’attività fisica (sportiva o non) del paziente.
Instabilità atraumatica – Questo tipo di instabilità è dovuto ad un’eccessiva ampiezza della capsula articolare e/o ad un’abnorme lassità capsulo-legamentosa dell’articolazione. Quadro clinico: sono colpiti generalmente soggetti giovani, per lo più di sesso femminile, specie se con muscolatura esile. Il quadro clinico è molto variabile: si possono avere occasionali lussazioni alternate a sublussazioni (la testa omerale si sposta in modo non completo e si ricolloca subito nella cavità glenoide); si possono avere solo sublussazioni, anche molto frequenti; oppure vi può essere dolore e vaga sensazione di spostamento della testa omerale in alcuni movimenti della spalla, particolarmente in abduzione e rotazione esterna del braccio. L’instabilità può essere solo anteriore, ma per lo più è anteriore-inferiore. Talora è anche posteriore L’ instabilità posteriore pura è rara. Trattamento: quando l’instabilità è modesta il trattamento consiste nel rinforzare, con ginnastica appropriata, i muscoli che si oppongono alla lussazione o sublussazione, ossia, nelle forme anteriori, il sottoscapolare, il grande pettorale e il grande dorsale. Se la ginnastica è inefficace, si può effettuare un intervento di capsuloplastica, diretto a ridurre l’ampiezza della capsula articolare antero-inferiormente e/o posteriormente usando, anche in questo caso delle “ancore” infisse sul borde della glenoide. I risultati del trattamento chirurgico sono soddisfacenti nell’80%-90% dei casi. Negli altri, persistono una sensazione soggettiva di ipermobilità della testa omerale o delle sublussazioni della testa o raramente episodi di lussazione.
Tendinopatia calcifica
Caratteristiche – Le calcificazioni dei tendini della cuffia sono l’espressione di un processo attivo cellulo-mediato (tendinopatia calcifica propriamente detta) o ad alterazioni degenerative del tendine (calcificazione degenerativa). La prima forma è caratterizzata da aree di calcificazione situate nel decorso del tendine, mentre nel secondo caso si tratta di piccole calcificazioni localizzate di norma a livello dell’inserzione ossea del tendine. Nella tendinopatia calcifica, che si osserva di solito in soggetti di età media, i depositi calcifici possono essere di varie dimensioni e avere margini sfumati e aspetto tarlato o margini ben definiti e aspetto compatto. Il tendine più colpito è quello del sopraspinoso. Secondo l’ipotesi più accreditata, il depositi di calcio della tendinopatia calcifica si possono formare, per deposito di calcio nel tessuto tendineo, e si possono riassorbire fino anche a scomparire. Quadro clinico: si distingue una forma acuta ed una cronica. Nella prima il paziente ha un dolore improvviso, spesso molto intenso con difficoltà o impossibilità a muovere il braccio. Si ritiene che la forma acuta si verifichi quando il deposito di calcio si deposita nel tendine quando va incontro a riassorbimento. La forma cronica è caratterizzata da dolore non intenso, ma frequente o continuo, accentuato dai movimenti del braccio. In questa forma vi possono essere, peraltro, periodi di benessere anche lunghi. La tendinopatia degenerativa è per lo più asintomatica. La diagnosi viene posta di solito con l’esame radiografico o con l’ecografia. Poco specifica è la risonanza magnetica.
Trattamento – la forma acuta viene trattata con anti-infiammatori e riposo dell’articolazione. Spesso è indicato effettuare 1-2 infiltrazioni di un cortisonico a lento assorbimento nello spazio sottoacromiale, perché può ridurre molto rapidamente il dolore. Nelle forme croniche, resistenti alla fisioterapia e agli anti-infiammatori, può essere indicato rimuovere il deposito calcifico. Ciò può essere efferttuato mediante la litotrissia extracorporea con onde d’urto. Un’altra metodica, non molto usata, è la puntura dell’area calcifica e il successivo lavaggio eco-guidato. Se questi trattamenti non sono efficaci, è indicata la rimozione della calcificazione in artroscopia.
Patologie del tendine bicipitale
Caratteristiche – Il tendine bicipitale può essere sede di varie patologie: rottura totale o parziale, degenerazione, sublussazione o lussazione dalla doccia bicipitale, lesioni dell’ancora bicipitale.
Rotture – La rottura può essere totale o parziale. La rottura totale è abbastanza frequente e spesso si verifica in pazienti con rottura della cuffia dei rotatori o questa è conseguente alla rottura del tendine bicipitale. La rottura avviene spesso spontaneamente, anche senza che il paziente se ne accorga. Oppure, il paziente avverte, dopo uno sforzo o senza motivo, un dolore improvviso al braccio, , che dura alcuni giorni o settimane. A seguito della rottura compare molto spesso una tumefazione nella parte superiore del braccio, tuttavia senza deficit di forza. La rottura non viene di solito trattata chirurgicamente tranne in soggetti giovani specie se sportivi o per insistente richiesta “estetica” del paziente. Specialmente nell’anziano può essere opportuno accertare se coesiste una rottura della cuffia. La rottura parziale, non raramente associata a rottura della cuffia, causa dolore nei movimenti della spalla e spesso è di difficile diagnosi clinica, poiché le manovre cliniche considerate specifiche per la diagnosi sono spesso negative o dubbie. Frequentemente la diagnosi viene posta in artroscopia, in un paziente che lamenta un dolore persistente alla spalla in assenza di altre patologie dimostrabili con la RM o in soggetti sottoposti ad artroscopia per una rottura della cuffia dei rotatori. Il trattamento consiste nella sezione completa (tenotomia) del tendine. A questa si può associare, in casi particolari, la reinserzione del moncone tendineo alla doccia bicipitale.
Degenerazione – Non è mai una diagnosi clinica o strumentale poiché anche la RM non fornisce dati attendibili. In presenza di evidenti alterazioni degenerative, il trattamento è la sezione del tendine.
Sublussazione o lussazione – La sublussazione è una condizione non rara ed è responsabile di dolore nei movimenti del braccio. Essa si verifica per rottura del legamento che mantiene il tendine nella doccia bicipitale. Spesso è associata a rottura parziale del tendine del sottoscapolare all’inserzione sul trochine. La diagnosi può essere posta con la RM. Il trattamento consiste nella sezione del tendine bicipitale ed eventualmente nella sua reinserzione e quella del sottoscapolare al trochite. La lussazione è rara ed è sempre associata a rottura del tendine del sottoscapolare nel suo contesto o solo all’inserzione ossea. Fuoriuscito dalla sua sede, il tendine si interpone tra la testa dell’omero e la cavità glenoide. La conseguenza è dolore nei movimenti della spalla e spesso difficoltà a sollevare il braccio sopra il piano orizzontale. Se coesiste, come quasi sempre accade, una rottura del tendine del sottoscapolare l’elevazione attiva del braccio può essere ancora più compromessa. Il trattamento è la tenotomia del tendine bicipitale e la riparazione delle lesione del sottoscapolare.
Lesioni dell’ancora bicipitale – Queste lesioni consistono nella lacerazione del complesso cercine glenoideo-inserzione del tendine bicipitale sulla scapola (Vedi Anatomia). Sono lesioni di vario tipo ed estensione. Comunemente sono denominate con l’acronimo inglese SLAP (SuperiorLabrumAnteriorPosterior) lesions (il termine labrum è il corrispettivo di cercine). Spesso sono colpiti soggetti in età giovanile o media che praticano attività sportiva. Il quadro clinico è molto variabile, anche in relazione al tipo e all’ampiezza della lesione. Il paziente ha dolore alla spalla che può essere da lieve e incostante a marcato e continuo. Il dolore compare di solito durante i movimenti del braccio, specie se al di sopra del piano orizzontale. La diagnosi può essere difficile non solo visitando il paziente, ma anche con la RM, che deve essere eccellente ed effettuata da un radiologo esperto, soprattutto per evidenziare lesioni di piccola entità. Non raramente, comunque, si tratta di un reperto esclusivamente artroscopico. Queste lesioni possono essere trattate sia conservativamente che chirurgicamente. Il trattamento conservativo è preferibile in quelle meno gravi e nei pazienti meno giovani o che hanno minore richiesta funzionale. Quando è necessario il trattamento chirurgico, la lesione viene riparata e il tendine del bicipite reinserito all’ancora bicipitale per via artroscopica con delle ancore infisse nell’osso.
Capsulite adesiva
Caratteristiche – E’ il termine corretto per indicare la cosiddetta “spalla rigida” o “spalla congelata. Si distinguono una forma primitiva (idiopatica) e forme secondarie. Nella forma primitiva, che colpisce soprattutto soggetti tra 30 e 50 anni, vi è una perdita graduale della mobilità attiva e passiva della spalla, senza cause apparenti. Questa forma è molto più frequente nei diabetici e nei pazienti che assumono barbiturici. Le forme secondarie possono essere conseguenti a patologie che comportano un periodo di dolore acuto alla spalla. Il paziente non muove l’articolazione per il dolore, e con il tempo questa perde progressivamente la normale mobilità. Altre cause sono eventi traumatici (fratture, lussazione di spalla) o interventi chirurgici che comportano un’immobilizzazione della spalla. Quelle secondarie, peraltro, non possono essere considerate, in senso stretto, forme di capsulite adesiva. La rigidità è dovuta a retrazione della capsula articolare e dei legamenti che la rinforzano; retrazione che è tanto più marcata quanto più lungo è il periodo di ridotta mobilità.
Quadro clinico – La vera capsulite adesiva insorge subdolamente, molto spesso senza che il paziente si accorga di perdere progressivamente i movimenti dell’articolazione. Quindi, per lo più giunge a visita medica dopo settimane o mesi dall’insorgenza della malattia, quando la rigidità è già marcata. Il paziente lamenta dolore spontaneo alla spalla e soprattutto nei movimenti del braccio. La diagnosi è di solito facile, poiché il paziente ha un “blocco meccanico” dell’articolazione che diventa dolente quando, nel movimento, si supera il grado di mobilità residua ancora presente. Per lo più non serve alcuna indagine diagnostica, ad eccezione della radiografia per escludere altre patologie ossee della spalla o di calcificazioni concomitanti.
Trattamento – Nelle forme primitive presumibilmente iniziate da meno di 2 mesi e non particolarmente marcate, il trattamento consiste nella kinesiterapia (ginnastica) passiva e attiva effettuata intensamente per almeno un mese. Se la rigidità non migliora, o se alla prima osservazione dura da più di 4-6 mesi ed è marcata, può essere indicata una mobilizzazione in anestesia della spalla (della durata di 5-10 minuti), diretta a produrre piccole lacerazioni capsulo-legamentose, che migliorino il grado di mobilità. Oppure, si può effettuare un’artroscopia con l’intento di sezionare per brevi tatti le strutture capsulo-legamentose. Facendo ciò si ottiene di solito un miglioramento della mobilità maggiore che con la sola mobilizzazione in narcosi. Ad ambedue i trattamenti, comunque, deve seguire sempre un’intensa kinesiterapia fino al raggiungimento di una normale mobilità articolare. Il protocollo terapeutico è analogo nelle altre forme di rigidità, anche se in queste il trattamento è quasi sempre fondato solo sulla kinesiterapia.
Discinesia scapolo-toracica
Caratteristiche – E’ un’alterazione della normale posizione e del movimento fisiologico della scapola durante i movimenti tra la superficie posteriore della scapola e la parete toracica. Ossia, un anomalo sincronismo della catena cinetica tra scapola e gabbia toracica (discinesia). Un certo grado di discinesa è piuttosto comune nel soggetto normale, ma è per lo più asintomatico. Una discinesia sintomatica compare negli atleti lanciatori che hanno una significativa depressione e spostamento anteriore della scapola a riposo. La discinesia può portare ad una alterazione della cinematica e da ultimo ad una tendinopatia della cuffia dei rotatori con instabilità gleno-omerale. Anche la scapola alata può essere in qualche modo considerata una forma di discinesia scapolare caratterizzata da un significativo spostamento del bordo mediale della scapola durante il movimento della spalla.
Trattamento – Un’appropriata riabilitazione dei muscoli della spalla e degli stabilizzatori della scapola è essenziale per la scomparsa dei disturbi. La riabilitazione richiede un esame accurato del paziente per identificare la patologia e definire l’intervento appropriato. Un potenziamento aggressivo, se eseguito prima di stabilire il controllo motorio, porta ad una perpetuazione dei sintomi con la frustrazione del paziente. L’isolamento e l’integrazione dei muscoli scapolari in schemi di movimento funzionali possono migliorare significativamente la sintomatologia.
Artrosi della spalla (gleno-omerale)
Caratteristiche – L’artrosi è una malattia degenerativa di un’articolazione a carattere evolutivo, che inizia dalla cartilagine che riveste le strutture ossee e, con il tempo, coinvolge anche queste ultime. Ai fenomeni degenerativi osteo-cartilaginei si associa quasi sempre una flogosi della membrana sinoviale, cui si deve sia parte della sintomatologia dolorosa, sia spesso la tumefazione articolare. Nella spalla si distinguono due forme principali di artrosi: l’artrosi primitiva (detta anche artrosi concentrica) e la cosiddetta artropatia da rottura della cuffia (cosiddetta artrosi eccentrica). Le patologie degenerative secondarie ad altre malattie verranno trattate come “Altre artropatie di spalla”. L’artrosi primitiva, analoga a quella di tutte le altre articolazioni, non ha una causa nota ed è denominata concentrica perché la testa omerale resta interamente a contatto con la cavità glenoide. Rispetto ad altre articolazioni, quali l’anca o il ginocchio, l’artrosi della spalla è relativamente rara, se non altro perché non è sottoposta al carico. In questo tipo di artrosi, che è la più comune i tendini della cuffia sono integri. L’artropatia da cuffia si riscontra nelle rotture irreparabili della cuffia dei rotatori. A seguito della rottura, la testa omerale risale in alto rispetto alla cavità glenoide (per tale motivo è detta eccentrica) e tende ad appoggiarsi sull’acromion. Il malallineamento delle due componenti causa fenomeni degenerativi della testa omerale e della glenoide.
Quadri clinici – I sintomi soggettivi sono il dolore e la limitazione dei movimenti attivi della spalla. Obiettivamente si rileva una ridotta mobilità passiva (quale il movimento effettuato dall’esaminatore), oltre che attiva, della spalla. Inoltre, nel muovere l’articolazione si suscita dolore e si avvertono, e spesso si odono, marcati scrosci articolari. Nell’artrosi primitiva, all’esame radiografico, la testa omerale appare deformata e presenta tipicamente un’escrescenza ossea (osteofita) inferiore, a goccia. Lo spazio articolare è ristretto e la testa non è rotondeggiante, ma più o meno appiattita. La cavità glenoide può essere deformata ed erosa. La TAC può essere utile per valutare meglio le alterazioni della glenoide e la RM può essere talora necessaria per escludere rotture della cuffia. Nell’artropatia da cuffia la sintomatologia soggettiva è simile, ma talora la mobilità attiva del braccio è più ridotta che nell’artrosi primitiva. La testa, oltre che deformata, è decentrata rispetto alla cavità glenoide. Anche in questo caso i può essere utile la TAC, ma ancor più la RM per documentare la rottura massiva della cuffia dei rotatori.
Trattamento – Nelle fasi iniziali, anti-infiammatori, fisioterapia e ginnastica, eventuali infiltrazioni con cortisonici a lento assorbimento o acido ialuronico. Nelle fasi avanzate è indicata una protesi di spalla. Talora, in pazienti in cattive condizioni generali o che rifiutano una protesi, può essere effettuata un’artroscopia per sezionare il tendine bicipitale se presente ed effettuare una “debridement” (pulizia) articolare. Peraltro, si deve avvertire il paziente che l’artroscopia può non dare miglioramenti significativi o alcun miglioramento. Nell’artrosi primitiva si usa una protesi “anatomica”, ossia della stessa forma delle normali strutture anatomiche della spalla (testa omerale e glenoide). La protesi può essere solo omerale (endoprotesi, ovvero parziale) o anche della glenoide (artoprotesi, ovvero totale) (Fig. 20 A e B). Un’endoprotesi può essere indicata quando la cavità glenoide presenta scarse alterazioni o il paziente è in età giovanile perché si può successivamente applicare la componente glenoidea, oppure in pazienti anziani in condizioni generali non ottimali. Negli altri casi è sempre indicata una protesi totale. Nell’ artropatia da cuffia vi è un’indicazione precisa ad applicare una protesi particolare – protesi inversa – che consente la mobilità attiva della spalla anche in assenza dei tendini della cuffia. Questa, peraltro, deve essere applicata, tranne rare eccezioni, in soggetti anziani.
Altre artopatie della spalla
Caratteristiche – La spalla, come altre articolazioni, può essere interessata nell’artrite reumatoide o, più raramente, in altre artropatie di natura reumatica. Relativamente frequenti sono le necrosi della testa omerale. Non rare sono le artropatie conseguenti a gravi fratture (dell’estremo prossimale dell’omero o della cavità glenoide), a lussazioni recidivanti di spalla operate o non, a processi infettivi non più attivi o, raramente, a patologie neurotrofiche (siringomielia o diabete). Nell’artrite reumatoide l’eziologia è legata alla flogosi della membrana sinoviale e dei tendini della cuffia. La necrosi asettica della testa omerale può essere conseguente ad uso prolungato di cortisonici. Le artropatie post-traumatiche sono dovute alle deformità ossee conseguenti alla frattura, mentre quelle da lussazione recidivante derivano dai ripetuti traumi articolari. Le artropatie neurotrofiche sono dovute alla denervazione delle strutture osteoarticolari. Nell’artrite reumatoide la testa omerale e la glenoide appaiono erose e deformate e l’osso è spesso fortemente osteoporotico e i tendini della cuffia sono rotti o degenerati. In questi casi, la scelta varia dall’endoprotesi o artroprotesi o alla protesi inversa, secondo l’età del paziente e le condizioni anatomiche locali. Lo stesso vale per le artropatie neurotrofiche. Nella necrosi della testa omerale, questa è appiattita in senso trasversale, invece che emisferica, mentre la cavità glenoide è spesso risparmiata. Se la sintomatologia è marcata vi è indicazione ad una protesi, che può essere un’endoprotesi o una protesi particolare detta “di rivestimento” Le artrosi post-traumatiche rappresentano spesso situazioni “di salvataggio” in cui il principale obiettivo di una protesi – endoprotesi o artoprotesi anatomica, o protesi inversa -, è la riduzione del dolore, più che un miglioramento significativo della mobilità del braccio.
Fratture
Fratture della porzione superiore dell’omero
Caratteristiche – Rappresentano in media il 5% delle fratture di tutto lo scheletro. La frequenza aumenta con l’età, soprattutto nelle donne a motivo dell’osteoporosi. Nell’anziano, le cause più frequenti sono i traumi da cadute accidentali direttamente sulla spalla o sull’arto atteggiato a difesa. Nei giovani, le fratture si verificano di solito per incidenti della strada. Secondo la classificazione ancora più usata si distinguono fratture a 2 parti, a 3 parti e a 4 parti e fratture-lussazioni. Le fratture a 2 parti e 3 parti sono quelle in cui i frammenti di frattura sono 2 o 3. Le fratture a 4 parti sono le più gravi e la più comune è la frattura del trochite, del trochine e della porzione dell’omero al di sotto della testa (cosiddetto collo chirurgico dell’omero). Nelle fratture-lussazioni, l’intera testa dell’omero separatasi dal resto o, molto più spesso, una parte della testa si sposta al di fuori della cavità glenoide.
Trattamento – Le fratture composte sono di norma trattate non chirurgicamente, mediante tutori che immobilizzano la spalla e il gomito, per 3-5 settimane. Successivamente si inizia la rieducazione funzionale per riacquistare la mobilità della spalla, che non sempre, peraltro, si raggiunge completamente soprattutto nell’anziano che poco si applica nella fisioterapia. Le fratture scomposte vengono di solito operate con due modalità. Una è l’osteosintesi ossia la riduzione della frattura e la fissazione dei frammenti ossei con vari mezzi, quali viti isolate, fili metallici fissati ad un blocchetto metallico ancorato con viti all’omero al di sotto della frattura, o placche di vario tipo fornite di viti che solidarizzano i frammenti alla placca. La riabilitazione è iniziata il più precocemente possibile dopo l’intervento L’osteosintesi è il trattamento di scelta nei soggetti di età inferiore a 60 anni. La seconda modalità è l’applicazione di una prostesi di spalla, dopo aver rimosso la testa dell’omero fratturata, ad eccezione del trochite e del trochine con i tendini della cuffia ad essi inseriti. Il tipo di protesi impiantato più spesso è l’endoprotesi anatomica, ma negli anziani, si applica talora una protesi inversa. La rieducazione della spalla viene iniziata dopo non più di 3 settimane dall’intervento, anche se, di nuovo, spesso non si raggiunge, per vari motivi, una mobilità ottimale dell’articolazione. Nelle fratture-lussazioni si applica di norma un’endoprotesi o una protesi inversa in soggetti anziani.
Complicazioni – Dopo l’ostesintesi, le complicazioni più gravi sono la non guarigione della frattura (cosiddetta pseudoartrosi) e la necrosi della testa omerale per lesione delle arterie che apportano sangue alla testa. Quando si effettua un’endoprotesi, una complicazione importante è il riassorbimento del trochite e/o del trochine per difettoso apporto di sangue, con conseguente inefficienza dei tendini della cuffia necessaria alla mobilità della spalla. Una complicazione più rara è una sublussazione della testa omerale protesica anteriormente o posterioremente, con possibile necessità di un reintervento.
Fratture della clavicola
Caratteristiche – Rappresentano quasi la metà delle fratture della regione della spalla. Si verificano per un trauma diretto (caduta sulla spalla) o indiretto (caduta sul gomito o sulla mano protesa a difesa). Si distinguono tre gruppi di fratture: quelle della parte centrale (terzo medio), che sono la grande maggioranza, e quelle del terzo laterale o del terzo mediale. Ciascun gruppo comprende fratture composte e scomposte. In quelle del terzo medio, le fratture scomposte possono essere semplici o con terzo frammento isolato dagli altri due. Nelle fratture scomposte del terzo medio, il frammento mediale si disloca superiormente e indietro per l’azione del muscolo sternocleidomastoideo (teso cranio, e sterno e clavicola), mentre il frammento mediale è mantenuto in basso dal deltoide, dai legamenti coraco-clavicolari e dal peso dell’arto. Inoltre, il frammento mediale è spostato lateralmente e sovrapposto in varia misura a quello laterale. Aspetti simili si osservano nelle fratture laterali e mediali.
Trattamento – Il trattamento è per lo più conservativo, mediante applicazione di tutori a forma di 8 che tendono a mantenere ridotta la frattura. Il trattamento chirurgico è riservato agli adulti. Le indicazioni sono: 1) fratture del terzo medio con marcata sovrapposizione o allontanamento dei frammenti di frattura; 2) fratture scomposte del terzo laterale o mediale; 3) associazione di lesioni vascolari o nervose. In quelle del terzo medio, si riduce la frattura e si effettua una fissazione dei frammenti con vari mezzi. I più comuni sono un “chiodo” (di Rush) introdotto nei due frammenti o una placca avvitata, attualmente molto più usata. Nelle fratture laterali, si usa una placca avvitata corta o una vite che ancora il frammento fratturato all’apofisi coracoide; in quelle mediali, raramente chirurgiche, una placca.
Fratture della scapola
Caratteristiche – Sono fratture piuttosto rare. Si distinguono: fratture del corpo, delle apofisi e dell’angolo supero-esterno, ossia del collo e della cavità glenoide. Queste ultime, che sono le più difficili da trattare e le più importanti funzionalmente, rappresentano una minoranza delle fratture scapolari. La diagnosi viene posta con l’esame radiografico. Oltre alla proiezione antero-posteriore, può essere necessaria quella ascellare o la proiezione laterale nel piano della scapola. Per le fratture del collo e soprattutto della glenoide è spesso necessaria una TAC, per identificare più esattamente la sede e le caratteristiche della frattura.
Trattamento – La maggior parte delle fratture della scapola sono trattate incruentamente, con una fasciatura che immobilizza spalla e gomito (Desault) o con un tutore con caratteristiche simili per 3-6 settimane. Le fratture del collo della glenoide richiedono un trattamento chirurgico solo se notevolmente scomposte. Le fratture scomposte della cavità glenoide richiedono un intervento chirurgico quando il frammento fratturato interessa più del 25% della superficie glenoidea. Ciò vale soprattutto se la scomposizione della frattura è marcata o la lesione riguarda il margine anteriore della glenoide, oppure se vi è stata una concomitante lussazione della testa omerale, perché in questo caso la spalla resta instabile. Il frammento distaccato viene fissato con una o più viti. Alcune fratture della cavità glenoide possono anche essere trattate in artroscopia.
Sublussazioni e lussazioni acromio-claveari (o Acromion-Clavicolari)
Caratteristiche – Consistono nella perdita parziale o totale dei rapporti reciproci tra l’acromion e la clavicola, ossia tra i componenti dell’articolazione acromio-claveare (Vedi Anatomia). Si verificano di solito in età giovanile o media, per cadute sulla spalla o sul gomito. Si distinguono lesioni di tipo I-V. Il tipo I è in realtà una distorsione. Nel tipo II, i legamenti acromio-clavicolari sono rotti, mentre quelli coraco-clavicolari sono integri; la conseguenza è una sublussazione, ossia una dislocazione parziale verso l’alto dell’estremità laterale della clavicola. Nel tipo III, i legamenti acromio-clavicolari e coraco-clavicolari sono totalmente rotti e la clavicola è chiaramente, ma non marcatamente, dislocata in alto. Nel IV la dislocazione è marcata. Nel V, la clavicola è spostata anche posteriormente.
Trattamento – Nelle distorsioni, la spalla viene immobilizzata con un tutore per 2 settimane. Nelle sublussazioni, l’immobilizzazione dura 3 settimane. Nelle lussazioni di tipo III è indicato di solito usare speciali tutori che immobilizzano la spalla e spingono in basso la clavicola. Residua una tumefazione dovuta alla lussazione della clavicola, ma i disturbi funzionali con il tempo scompaiono. Nel tipo IV, o spesso anche in quello III-IV, vi è un’indicazione chirurgica, così come nel tipo V. I più comuni tipi d’intervento. sono: 1) applicazione di 1 chiodo di Rush, dopo riduzione della lussazione; 2) applicazione di una vite coraco-clavicolare 3) uso di 1 o 2 strisce di materiale a lento riassorbimento fatte passare sopra la clavicola e sotto la coracoide a cielo aperto. Con una tecnica recente, ma ancora poco diffusa, quest’ultimo intervento è effettuato in artroscopia.